Ho ascoltato ieri su Radio Radicale l’intervento del Ministro Orlando nell’Aula Magna del Tribunale di Milano. E quando per Bruti Liberati ha ricordato «Dei delitti e delle pene», con lui mi sono trovato d’accordo. Questa volta, sì.
Non colpevolista né giustizialista Cesare Beccaria, ma garantista. Per l’accertamento del fatto prima dell’interpretazione del diritto, per la verità deontica che nel processo alla verità ontica si sostituisce. Così anche mi è parso Bruti Liberati nella sua lunga carriera.
Non che la Procura di Milano, come tutte le Procure, sia una Procura esente da errori piccoli o grandi – basta qui ricordare la poco fondata arringa della Boccassini, a buon fine andata e poi smontata, per la «cosa Berlusconi-Rubygate». E però è una Procura che di Bruti Liberati non potrà lamentarsi e non si lamenterà.
Con Liana Milella non sono stato in linea nel criticare solo Robledo. Anche Bruti Liberati era criticabile e nei suoi confronti qualche dubbio di correttezza l’ho espresso. È che per logica «de omnibus dubitandum est» alla Kierkegaard. Innanzitutto delle proprie certezze.
E l’opinione pubblica, quella che io seguo attraverso qualche giornale e radiogiornale e telegiornale, preferisce la certezza della condanna alla certezza dell’assoluzione, certezza della futura condanna di Anna Scognamiglio, non unica giudice per la sospensiva della sospensiva di De Luca, per esempio. E forse per questo Bruti Liberati non sarà del tutto apprezzato dall’opinione pubblica che al giudiziario e al diritto si interessa. Per la sua discendenza culturale da Beccaria.